Relazione etnografica sul rapporto con il cellulare.

Portofino, 01.05.03 – ore 19:00

Sono sul traghetto per dirigermi a Santa Margherita Ligure, nelle file davanti a me ho due coppie di giovani di circa 25 anni. Malgrado la giornata calda, l’aria si inizia a raffreddare. Uno dei ragazzi vede aperta la finestra di uno degli appartamenti che si affacciata sulla piazza. Guarda l’amico e gli dice: “Guarda! Mia madre ha lasciato la finestra aperta, ora la chiamo e l’avviso.” Estrae dalla tasca il cellulare, mi sembra un Samsung A300 color argento, quindi intraprende una conversazione fittizia: “Ma’, hai lasciato nuovamente la finestra aperta! Chiudila!” Gli altri amici si guardano stupiti, quindi scoppiano in una chiassosa risata. L’amico che gli è seduto dietro si fa consegnare il cellulare per chiamare Claudio. Inizia una nuova finta telefonata a Claudio Bisio, gli si chiede in quale locale si incontreranno la sera stessa, chi ci sarà oltre a Michelle e da lì una lunga chiacchierata in cui i nomi noti si sprecato ed il telefono passa fra i due amici.

Due fatti mi lasciano perplessa: i ragazzi utilizzano sempre lo stesso cellulare, le due ragazze non toccano mai il cellulare, pur stando al gioco.

 

All’inizio di questa etnografia, la mia teoria era osservare ed intervistare un gruppo di persone per oggettivare la possibilità di suddividere gli individui per classificazioni in base all’età, allo stato sociale, agli studi realizzati.

Ho eseguito una trentina di interviste, nella zona centrale di Varese, fra individui compresi fra gli 8 ed i 70 anni[1] ed ho osservato diversi clienti di un negozio di cellulari, ponendo domande esclusivamente ai proprietari ed alle commesse. Ogni volta che mi sembrava di poter eseguire una classificazione, ecco che tutto si ribaltava. Per esempio, mi trovavo nel negozio e tre clienti differenti hanno richiesto un cellulare per una persona anziana con i tasti grandi per evitar di far fatica a leggere ed ecco entrare un’arzilla nonna fornita di un bel paio di occhiali che richiede alla commessa un cellulare che le consenta di fare le foto (nessun problema per i tasti o per la lettura). Le parole di Malinowski mi hanno dato lo spunto per proseguire la mia indagine: “Se un ricercatore che parla la lingua degli indigeni e vive con loro per un certo tempo cerca di partecipare dei loro sentimenti e di capirli, scoprirà che potrà valutarli correttamente.”[2] Chi erano i miei indigeni? Parlavo la loro lingua? Partecipavo ai loro sentimenti? Queste domande hanno aumentato il senso critico, facendomi accorgere che il cellulare ha parecchie analogie con la costruzione della canoa offerta da Malinowski[3]. “Vi è quindi un’organizzazione sociale che sta alla base della costruzione, della proprietà della canoa.” I cellulari sono prodotti da un’azienda, consentono le comunicazioni grazie ad un’altra azienda, consentono di comunicare con l’estero grazie ad accordi fra aziende e sono posseduti, nel senso pratico del termine, da un individuo. Esistono “padroni” diversi per il cellulare, esattamente come esistono “padroni” diversi per la canoa dei trobriandesi: “Nelle Trobriand vi è una parola che si può dire denoti approssimativamente la proprietà, cioè il prefisso toli- seguito dal nome dell’oggetto posseduto…. La parola composta (pronunciata senza interruzione) toli-waga significa «proprietario» o «padrone» di una canoa (waga)…A volte i parenti più stretti…possono chiamarsi collettivamente i toliwaga” [4] Utilizzando questa analogia il proprietario utilizzatore potrebbe essere il toli-cellulare; il fabbricatore, esperto per i guasti inerenti alla apparecchiatura del telefono mobile, lo potremmo chiamare toli-cellulare-marca; l’erogatore di servizi di telefonia che gestisce tutti i servizi (segreteria telefonica, invio sms, proprietario delle strutture che consentono le comunicazioni,…) avrebbe il nome di toli-cellulare-sim. Ad ognuno spetta il proprio compito e tutti lavorano affinché il cellulare possa produrre la sinergia generata dalla comunicazione. Una seconda simmetria la riscontriamo nella descrizione della nascita della canoa di Malinosky: durante il rito magico legato al tokway, lo spirito maligno del legno, si eseguono delle pratiche finalizzate ad avere una canoa più leggera e più veloce.[5] Nel caso del cellulare le case produttrici e i negozianti, al momento della vendita, raccomandano, per un corretto funzionamento delle batterie, di lasciare il cellulare in carica[6] per dodici ore e per ottenere il massimo delle prestazioni occorre caricarle e scaricarle completamente per due o tre volte. Avendo eseguito tutte le cure necessarie, il proprietario utilizzatore può beneficiare del suo strumento, personalizzando secondo i propri gusti la cover, il messaggio iniziale, le suonerie, le informazioni tramite sms che possono essere ricevute (notizie dell’ultima ora, i risultati delle partite, i gossip,…), memorizzando gli sms più cari, tenendolo sempre attaccato a sé o dimenticandosi di averlo o, persino, di perderlo; usandolo per lavoro, per amicizia; consumandolo per amore ma quando finisce il rapporto rappresenta solo un ricordo fino ad una nuova storia.

Anna, 22 anni, mi racconta: “Il mio cellulare è tutto personalizzato: al mattino è la prima cosa che tocco perché lo utilizzo come sveglia; di giorno mi permette di essere in contatto con le amiche anche se sono al lavoro; la notte dopo aver spento la luce, mando gli ultimi sms e poi lo spengo”. Le chiedo “Non sei fidanzata?”. Mi risponde “No, ma quando lo ero il cellulare mi faceva percepire il mio ragazzo sempre vicino. Sai, leggevo e rileggevo gli sms che mi mandava e spesso ci facevamo degli squilli per far sapere all’altro che era nei nostri pensieri.” All’esperieza di Anna si contrappone quella di Alessio di 29 anni, che possiede il cellulare da quando ne aveva 16, ne ha avuti sei modelli, non usa mai né suonerie particolari né invia sms, lo usa per l’80% sul lavoro, si sta sposando dopo 10 anni di fidanzamento. I due casi citati riportano un confronto fra donna e uomo, nella ricerca realizzata non esiste una differenza fra i generi significativa. Il rapporto fra cellulare e uomo è unico, unico per come lo vive e si vive l’individuo ed unico per come è realizzato il telefono mobile. Ognuno di noi ha un corpo con caratteristiche particolari che ci rendono unici: la congiunzione delle nostre ossa del cranio, il dna, … Il cellulare che possediamo, se ne possediamo uno, ha caratteristiche uniche: il numero IMEI[7] del telefonino (o terminale GSM[8] o mobile equipment) ed il numero IMSI[9] della carta SIM[10]. Quanto esposto mi consente di enunciare la mia tesi: non è possibile raggruppare in categorie gli individui che utilizzano il cellulare, perché il rapporto che ci lega ad esso è mutevole, è condizionato dalle situazioni che viviamo, dalle persone con cui siamo in contatto, dalle priorità che abbiamo e non sempre, non per tutto il giorno, desideriamo essere in contatto con il mondo ma, sicuramente a voce unanime dalle interviste realizzate, è importante averlo nel momento del bisogno (quando si è senza benzina, quando c’è un incidente, quando i propri cari sono lontani, quando sembra che il mondo “crolli addosso”).

“Non tutto nella nostra razionalità è razionale. La razionalità è la saggezza pratica di un ordine culturale basato su altri principi, il mezzo di una forma storica di esistenza che come tale non ha pretese particolari al buon senso materiale”[11].

Le parole di Sahlins mi hanno fatto riflettere su quali siano gli “altri principi”, cosa possa essere rappresentato dietro la parola “develpman (letteralmente «sviluppouomo»)”[12] coniata dall’autore se fosse riferita ai popoli del Pacifico, “l’arricchimento delle loro idee intorno a quello che vuol dire essere uomini”.[13] Non possiamo adottarla per noi stessi e per le cose che direttamente vengono commercializzate nei nostri luoghi? A differenza di quanto affermato da Sahlins sulla conoscenza occidentale delle cose, basandomi sulla ricerca realizzata, posso affermare che la conoscenza della tecnologia legata ai cellulare è bassa, ma sale ad una valutazione discreta se ci riferiamo alla conoscenza funzionale. Pertanto, il paragone con i popoli del Pacifico può essere assunto anche per la situazione in occidente; quindi “Se questi oggetti sono realmente segni, un segno è precisamente qualcosa il cui significato non è contenuto nella sua presenza fisica. Il significato non è autoevidente.”[14] Qualcuno sceglie di vederli come “cose materiali inanimate”[15] in altri casi, “in quanto oggetti per dei soggetti, ad un tempo impenetrabili, potenti ed estranei a noi, queste cose materiali agiscono su di noi dall’esterno”[16]. I nostri pensieri si riconducono ai ragazzi incontrati sul traghetto a Portofino, dove il cellulare è stato potente mezzo di aggregazione, anche per le signorine che non lo hanno nemmeno toccato, e ne è stato fatto un uso insolito, creativo. Pertanto non stupiamoci se oggi il cellulare sia il regalo più ambito per i bambini che fanno la prima comunione e che lo desiderano per giocare, se esso sia usato come sveglia, se sia feticcio che conservi la magia di un ricordo; non esprimiamo giudizi affrettati, scoprendo che, intanto che mentre l’adolescente trascrive gli sms del proprio ragazzo su un quaderno, una ricercatrice universitaria li conta per monitorare l’affievolirsi di un amore distante.

[1] Le trenta persone intervistate erano così suddivise: 4 bambini di V elementare, 8 giovani delle superiori,15 giovani fra i 20 ed i 30 anni (sia studenti universitari che inseriti in ambienti lavorativi), 3 persone dai 50 anni in su. Fra le persone citate 5 lavorano o nel commercio dei cellulari o in servizi di call-center di operatori di telefonia.

[2] B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nelle società primitive, Roma, Newton Compton Editori, 1973 pag123

[3] ivi pag. 128

[4] ivi, pp 132 – 134

[5] ivi la descrizione del rtio magico della canoa è descritto da pag. 139 a pag. 146

[6] Il telefono è alimentato da una batteria ricaricabile.

[7] IMEI International Mobile Equipment Identità è il numero mediante il quale il mobile equipment è identificato all’interno di qualunque rete GSM. È formato da 15 cifre: 6 identificano il corpo centrale del GSM, 2 identificano il costruttore, 6 sono il numero di serie, 1 cifra è di riserva.

[8] GSM Global System for Mobile Communication è attualmente lo standard mondiale, in quanto il suo sviluppo ha mirato ad un uso efficiente delle radio frequenze, alla sicurezza di trasmissione, alla riduzione dei costi dei terminali, alla capacità di supportare nuovi servizi oltre a quelli di comunicazione orale.

[9] IMSI International Mobile Subscriber Identity usato per identificare l’abbonato in qualunque sistema GSM, ha delle procedure di crittografia che garantiscono la confidenzialità dell’informazione dell’utente.

[10] Subscriber Identity Module una smart card dotata di memoria e microprocessore, che consente di identificare l’abbonato indipendentemente dal terminale usato.

[11] M. Sahlins “L’economia del developman nel Pacifico” in A. Corsari (a cura di), L’esperienza delle cose, Genova, Mrietti, 1992, pag 210

[12] ivi pag. 219

[13] idem pag. 211

[14] idem pag 212

[15] idem pag. 213

[16] ivi pag. 213