C’era un tempo in cui le parole dei sapienti mi incantavano quasi le loro parole fossero delle formule magiche di sapienza, radici profonde in libri di conoscenza che hanno appreso dai secoli di saggezza. L’esperienza, purtroppo, mi ha insegnato duramente che chi parla di Luce e bellezza non sempre porta nella sua vita la stessa essenza. La forza delle loro affermazioni, mi parevano sentenze con cui per forza fosse necessario confrontarsi, mi sentivo così debole a causa di un’immensa sensibilità e l’ingenuità di credere alla perfezione che portavano nelle loro teorie.
Sono passata prima da una visione che contemplava il dovere di salvare il mondo, poi cambiata nella comprensione che “tutto va bene esattamente com’è”. Da questa posizione ho maturato una preciso atteggiamento nel mio “stare nel mondo”!
Vivere, per me, significa: avere rispetto per le idee delle altre persone (anche se su quelle radicali e che ledono le altre persone faccio molta fatica) perché sulla Terra l’esperienza ci porta a sperimentare la nostra Verità; una Verità che include una personale e propria adesione a: regole, condizioni, valori più o meno espressi e consci, che permeano incontri e vicende significative per il proprio piano di vita espressa nel tempo e nello spazio. Visioni del mondo mutanti e mutabili.
Ogni partecipazione vissuta in solitudine o in forma sociale è perfetta esattamente come si esprime. L’andamento che attuo, ma allo stesso tempo mi è il più difficile, è accogliere con amorevolezza le varie situazioni estraendole dai concetti duali, per esempio: buono/cattivo, giusto/sbagliato …
… quindi …
“Liberi di esistere” significa poter esprimere sempre quello che si pensa, si prova, si vive perché tutto ciò che accade è quello che serve per esprimere se stessi comprendersi ed entrare pienamente nel senso della propria vita.
Questo atteggiamento ha significato che la “mia Verità” non è sminuita da nessuno, che mi posso permettere di mostrare e di mostrarmi una qualsiasi delle sfaccettature della mia personalità, che l’essenziale è stare nelle esperienze con la “regola principe” … nel rispetto di tutto quello che gli altri portano.
La “regola principe” permea ogni incontro è: “Non recare danno”.
Il dono principale che ricevo è ascoltare la Verità degli altri, raccontata nei passi della loro vita, comprendendola sia se porta la voce di una brezza di estate che l’impetuosità di un uragano.
“Liberi di esistere” mi permette di comprendere quanto di queste esperienze occorrono al mio cammino e di lasciare con serenità il resto.
La regola d’oro
Non trattare gli altri in modi che tu stesso troveresti dannosi.
(Il Budda, Udana-Varga 5.18)
Non mettere a nessuno pesi che non vorresti fossero messi a
te, non desiderare per nessuno ciò che tu non desideresti per te stesso.
(Spigolature di Bahau’Hah)
Una parola riassume la buona condotta: la bontà. Non fare agli altri ciò the tu stesso non vorresti fosse fatto a te.
(Confucio, Analetti 15.23)
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
(Vangelo di Matteo 7, 12)
Non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la Toràh, il resto è commento. Va’ e studia.
(Hillel, Talmùd B. Shabbath 31a)
Uno dovrebbe trattare tutte le creature nel mondo come vorrebbe essere trattato.
(Mahavira, Sutrakritanga)
Siamo esseri viventi nella misura in cui manteniamo la terra in vita.
(Capo Dan George)
Questa è la sintesi del dovere: non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore.
(Mahabharata 5: 1517)
Nessuno di voi è credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso.
(Il profeta Mohammad 13° delle 40 hadith di Nawawi)
Non sono straniero a nessuno e nessuno mi è straniero. In verità sono amico di tutti.
(Guru Granth Sahib, pg. 1299)
Considera il guadagno del tuo vicino come il tuo e la sua perdita come la tua stessa perdita.
(Lao T’zu, T’ai Shang Kan Ying P’ien, 213-218).
Noi affermiamo e promoviamo il rispetto per l’interdipendenza di cui facciamo parte.
(Principio Unitariano)
Non fare agli altri tutto ciò che è ingiurioso a te stesso.
(Shayast-na Shayast 15.29)
(da Cem/Mondialità agosto-settembre 2004)